La Samsung Galaxy S22 Series riporta in primo piano l’imbroglio benchmark, ovvero come alcuni smartphone diano il meglio di sé solo durante i test.

Più è meglio. Spesso, quando siamo incerti su quale prodotto o bene acquistare, ci facciamo influenzare da un falso mito, ovvero che il migliore sia sempre quello che eccelle in qualche caratteristica tecnica. Limitandoci al campo informatico, questo si traduce con “più veloce è meglio”. E tutto viene parametrato su un solo valore, quello della velocità, declinato in tutti i modi possibili: dalla frequenza di clock (CPU e GPU) alla banda passante (SSD e RAM) e perfino la frequenza di refresh (monitor).

Ma che il prodotto più veloce sia automaticamente il migliore è un ragionamento sbagliato su più livelli. Il primo e più ovvio è a livello assoluto: non è detto che il prodotto più veloce in una caratteristica sia necessariamente il migliore nel complesso. Il secondo meno ovvio è a livello relativo: non è scontato che il prodotto più veloce sia necessariamente il migliore per voi; pagare per avere prestazioni eccezionali o caratteristiche che non userete mai ha poco, pochissimo senso.

L’aspetto del “più veloce è meglio” fa però parte delle strategie di marketing e spinge le aziende in vere e proprie “gare” per accaparrarsi il titolo di più veloce; a tal proposito come non ricordare la “guerra”, combattuta 22 anni fa tutta a suon di MHz, tra AMD e Intel per realizzare la prima CPU in grado di superare la frequenza di 1 GHz.

Ma, come in tutte le gare, c’è sempre chi prova a barare. E barare è sicuramente disonesto ma tutt’altro che difficile, soprattutto con gli smartphone. Visto che per misurare le performance di uno smartphone vengono utilizzati benchmark specifici, a un produttore basta inserire un servizio che ne modifichi il comportamento (come impostare la frequenza di clock al massimo o addirittura in overclock) quando rileva che il prodotto è sotto test.

Questo “trucchetto” è stato utilizzato più volte in passato da diversi produttori di smartphone ed è tornato alla ribalta a inizio marzo, quando i nuovissimi Samsung Galaxy S22 hanno fatto registrare comportamenti anomali durante i benchmark. Il comportamento di questi smartphone è a dir poco bizzarro: quando si fanno girare i benchmark si ha un certo livello di prestazioni, ma se si fanno girare gli stessi benchmark, cambiandone semplicemente il nome, si registrano risultati ben più bassi (e non parliamo di pochi punti percentuali, ma di valori che raggiungono quasi il -50%).

Samsung si è difesa dicendo che il comportamento non era anomalo ma “normale” in quanto con determinate applicazioni lo smartphone applica profili ottimizzati per massimizzare l’autonomia, bilanciando prestazioni e consumi. Analizzando meglio questo servizio preinstallato, il “Game Optimizing Service”, si è scoperto però che racchiude un database di oltre 10.000 app Android da “ottimizzare” e che, a dispetto del nome, solo 3.200 sono app di giochi. E le restanti quasi 7.000 app?

Si tratta delle app usate più comunemente da tutti noi, dalle 169 app Google alle stesse app preinstallate di Samsung, dai social network (come TikTok, Facebook e Twitter) a quelle per i video on demand (come Netflix e Disney+). Brillano, per la loro assenza, proprio le app utilizzate per i benchmark e sono per esempio assenti il 3D Mark, AnTuTu, Geekbench e GFXBench (app che fanno tutte parte della procedura di test effettuati su smartphone da chi li recensisce per professione).

A questo punto la domanda sorge spontanea: che senso ha realizzare uno smartphone velocissimo, ma solo ed esclusivamente nei benchmark?

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