Apple: nonostante il sostegno dell’amministrazione Biden, il processo di produzione e assemblaggio dei semiconduttori rimane un campo minato logistico.

La corsa globale per la supremazia nella produzione di semiconduttori è entrata in una nuova fase, in cui persino le più grandi potenze tecnologiche come Apple devono affrontare sfide impreviste. Tim Cook, CEO di Apple, aveva infatti proclamato con orgoglio l’acquisizione dei chip per iPhone, Mac e altri prodotti cruciali direttamente dalla nuova fabbrica di Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC) sita a Phoenix, Arizona. Un passo che, sulla carta, avrebbe dovuto rafforzare la capacità produttiva interna degli Stati Uniti.

Tuttavia, come recentemente rivelato da The Information, non tutto procede come previsto. Nonostante la produzione dei componenti avvenga effettivamente in terra americana, la fase cruciale di “packaging” – ovvero l’assemblaggio dei componenti del chip in un singolo alloggiamento – richiede che questi componenti tornino a Taiwan. Tale procedura è fondamentale per garantire la massima efficienza energetica e velocità, particolarmente rilevante per dispositivi come l’iPhone.

Il problema non riguarda solo Apple. Altri giganti tecnologici come NVIDIA, AMD e Tesla, clienti di TSMC, potrebbero trovarsi nella stessa situazione, essendo costretti a inviare i loro chip a Taiwan per l’assemblaggio. Questo scenario, apparentemente contraddittorio, sottolinea le sfide logistiche e tecniche nel settore dei semiconduttori e solleva domande sulla strategia degli Stati Uniti di ridurre la dipendenza dalla produzione estera.

L’amministrazione Biden, con l’introduzione del CHIPS Act e l’assegnazione di oltre 50 miliardi di dollari per promuovere la produzione di semiconduttori, ha chiaramente espresso l’intenzione di ridimensionare la dipendenza dalle catene di approvvigionamento estere, specialmente in un momento di crescenti tensioni con la Cina. Ma la realtà è complessa. Se da un lato c’è l’incentivo per costruire fabbriche di chip sul suolo americano, dall’altro l’attuale investimento nel settore del packaging sembra inadeguato.

La riluttanza di TSMC a costruire impianti di confezionamento negli USA, citando i proibitivi costi di produzione, è solo una faccia della medaglia. La dichiarazione dell’Institute of Printed Circuits, secondo cui l’attuale finanziamento dimostra che il packaging non viene considerato prioritario, sottolinea una preoccupante mancanza di attenzione a un aspetto cruciale della catena di produzione.

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Carolina Napolano
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