Lo scorso 28 ottobre il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg ha annunciato novità importanti nella strategia della sua azienda: il cambio di nome (è stato scelto Meta) fa parte di un piano molto più ampio e ambizioso, che guarda oltre i social media per proiettarsi in un “metaverso” basato sulla realtà virtuale, dove gli utenti avranno nuove possibilità di socializzazione, lavoro e intrattenimento.

Durante la presentazione, Zuckerberg ha mostrato alcuni esempi del nuovo spazio virtuale, mostrando occasioni di svago e intrattenimento, così come applicazioni professionali; non è difficile pensare a situazioni come la fruizione da remoto di eventi sportivi, spettacoli e concerti, o ancora l’utilizzo di questi device per creare ambienti di lavoro in cui gli avatar dei partecipanti potranno ritrovarsi per condividere lo stesso spazio, indipendentemente dalla loro reale posizione geografica. Pochi giorni dopo Facebook, anche Microsoft ha mostrato la sua visione del metaverso, con toni altrettanto entusiastici, e molte altre aziende stanno elaborando piani per non farsi cogliere impreparati.

Questi annunci, però, destano moltissime perplessità, da diversi punti di vista. Innanzitutto, c’è il fattore tecnico: la porta d’accesso verso il nuovo mondo di Facebook è Oculus, una famiglia di sistemi per la realtà virtuale presente sul mercato ormai da diversi anni, che però ha faticato ad attirare l’attenzione della massa a causa di limitazioni significative nell’usabilità e nel confort (problemi condivisi, in realtà, con le altre implementazioni offerte dai concorrenti). La prospettiva di passare molto tempo indossando un visore pesante e fastidioso, muovendosi in un ambiente virtuale con controlli poco naturali, è tutt’altro che allettante per utenti non molto motivati. Non a caso, almeno fino a oggi, questi dispositivi hanno trovato applicazione principalmente nel settore videoludico, dove offrono l’opportunità di giocare in un ambiente molto più immersivo rispetto a quello garantito dai sistemi tradizionali, e in soluzioni di nicchia dedicate all’addestramento o al supporto tecnico da remoto.

Se anche i problemi tecnici venissero risolti, ancor più profondi sono i dubbi legati all’effettiva appetibilità della proposta: non è la prima volta in cui i “mondi virtuali” entrano nella storia dell’informatica (molti ricorderanno Second Life, ma in precedenza ci sono stati i MMORPG e prima ancora i MUD); dopo un periodo di grande espansione, tutti questi fenomeni hanno subito un lungo declino. Second Life è ancora attivo, anche se scarsamente popolato, mentre il panorama dei MMORPG si è contratto, lasciando in vita soltanto una manciata di progetti; in ogni caso, la componente ludica è comunque prevalente in quei contesti rispetto alla semplice presenza online.

Rimane poi un’inquietudine di fondo, legata alla storia degli attori che hanno abbracciato con maggiore convinzione il metaverso: davvero vogliamo affidare l’organizzazione di un nuovo mondo virtuale ad aziende con un curriculum così poco rassicurante, che per stessa ammissione dei loro vertici hanno consapevolmente incitato all’odio e fomentato i conflitti per ottenere un maggiore profitto? Alcuni analisti hanno visto nei nuovi annunci di Facebook una mossa per distogliere l’attenzione dagli scandali emersi nelle ultime settimane e per tentare il rilancio di una piattaforma che sta perdendo slancio, specialmente tra i più giovani.

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