Quando si parla della saga di Assassin’s Creed, non si può fare a meno di avere opinioni contrastanti. Chi, come me, è legato alla saga creata da Ubisoft in maniera profonda e viscerale e ha giocato a tutti i capitoli, spin-off compresi, non può fare a meno di interrogarsi su quello che sarà il futuro di questo franchise dopo il capitolo ambiento in Inghilterra e con protagonista il vichingo Eivor.

Non sono qui per fare una recensione, non avrebbe senso ora, visto che il gioco è uscito a novembre 2020, ma solo per sottolineare alcuni dettagli, che in molti hanno omesso e fare alcune riflessioni per discuterne con voi, qui sotto nei commenti.

Nulla è reale, tutto è lecito

In principio c’era Altaïr Ibn-La’Ahad, il protagonista del primo capitolo datato 2007. Altaïr era l’Assassino con la A maiuscola, il mentore della confraternita per eccellenza, colui che si oppose all’ordine dei Templari ed espanse nel mondo il Credo degli Assassini “Nulla è reale, tutto è lecito”.

Il bello di Assassin’s Creed è sempre stata la fusione tra finzione e fatti storici realmente accaduti nel passato che si ripercuotevano nei giorni nostri, grazie alle avventure del protagonista contemporaneo dei primi tre capitoli, Desmond Miles.

Il legame tra passato e presente era radicato in ogni vicenda e ogni aspetto del gioco, anche le missioni ambientate ai giorni nostri, erano alquanto piacevoli da svolgere.

Assassin’s Creed III

Nei primi capitoli di Assassin’s Creed, c’era sempre un alone di mistero che ti faceva venire voglia di andare avanti, ora dopo ora, a capire cosa sarebbe successo nella missione successiva, per comprendere meglio cos’erano i frutti dell’Eden e perché si parlava di civiltà Isu.

Missioni principali e secondarie si fondevano in un unico scopo: dare la conoscenza e la consapevolezza al videogiocatore di quello che sarebbe diventato, a breve, un universo fantastico e in continua espansione.

Inutile dire come i primi capitoli, fino ad Assassin’s Creed III, abbiano segnato un’epoca e una generazione, con il culmine massimo in quello che per me è e, sarà sempre, il videogioco per eccellenza, Assassin’s Creed II, grazie anche al protagonista più carismatico della saga: Ezio Auditore da Firenze.

Ezio Auditore da FirenzeAssassin’s Creed II

La mia passione per la saga mi faceva chiedere a gran voce altri capitoli, uno all’anno almeno e mamma Ubisoft, di certo, non si faceva pregare.

Assassin’s Creed IV Black Flag

Dopo aver quasi ridisegnato il franchise post Desmond Miles, grazie alle novità introdotte in Assassin’s Creed IV Black Flag, il problema della ripetitività era dietro l’angolo e nonostante Ubisoft ci abbia omaggiato con un capitolo estremamente sottovalutato, come Assassin’s Creed Rogue, che ci faceva dubitare del nostro Credo, con Assassin’s Creed Unity e Assassin’s Creed Syndicate, la software house ha toccato il fondo per quanto riguarda le vendite.

Era innegabile che “un bel gioco sarebbe durato poco” e sebbene abbia apprezzato tutti i capitoli della saga, nel bene o nel male (e si, a me è piaciuto anche Assassin’s Creed Unity, ndr), era diventato palese che il franchise avesse bisogno di un po’ di novità e svecchiamento.

La nuova trilogia

Dopo un po’ di pausa, Ubisoft torna alla carica con Assassin’s Creed Origins, un episodio totalmente rivisto, nelle meccaniche di gioco ma soprattutto nel combat system, che apre la strada al primo capitolo di una nuova trilogia, con aspetti RPG e open world di prim’ordine. Origins era il primo esperimento, riuscito, di una rinascita videoludica che non voleva assolutamente mettere la parola fine alle avventure dei nostri beniamini Assassini.

Le vicende di Bayek di Siwa ci portano nel 49 a.C. in Egitto, durante il regno del faraone Tolomeo XIII, in quello che si è poi rilevato come il capitolo che apre le porte verso la nascita del Credo, prologo di quello che conosciamo grazie ad Altaïr. Passato, presente e futuro tornano ad intrecciarsi.

Non si parla di Assassini, ma di Occulti. Non si parla di Templari, ma di Ordine degli Antichi. Cambiano i nomi ma non le motivazioni che ci spingono ad andare avanti in un gioco che si rivela molto piacevole, a tratti ripetitivo, ma soprattutto sorprendentemente lungo; ci ho messo un centinaio di ore per finire la trama principale.

Dopo aver esplorato antiche tombe egizie, arriva il turno di Assassin’s Creed Odyssey,  ambientato nel 431 a.C., quattrocento anni prima degli eventi di Assassin’s Creed Origins, che narra la storia della guerra del Peloponneso, la quale fu combattuta tra le città-stato dell’antica Grecia.

Assassin’s Creed Odyssey

Il gioco riprende le meccaniche vincenti di Origins e le migliora: ci troviamo di fronte ad un vero e proprio gioco di ruolo d’azione. Dialoghi a risposte multiple che si ripercuotono sugli eventi futuri, mappa di gioco ancora più grande e  la possibilità di scegliere se impersonare Alexios o Kassandra. Il tutto si tramuta in una storia avvincente, con missioni secondarie interessanti e ancora più ore di gioco (ci ho passato sopra quasi 130 ore). Un capitolo mastodontico, non solo nell’ambientazione, ma soprattutto nelle ore di gameplay, che comunque ci ha permesso di vivere a pieno la storia principale, aggiungere tasselli sulla nascita del Credo degli Assassini e godere di un gioco ben strutturato, nonostante le critiche legate ai boost dei punti esperienza, di cui “francamente me ne infischio” (cit.).

Tuttavia, molte ore di gioco non vogliono sempre dire qualità. Per realizzare un open world ben fatto, a mio avviso, devi supportare la storia principale con basi solide e avvincenti, creare missioni secondarie in grado, non solo di reggere il confronto con la main quest, ma anche di non fare perdere al giocatore il focus sul reale obbiettivo del gioco e di metterlo in crisi sulla scelta di proseguire o meno con una missione principale o secondaria.

In un open world che si rispetti, devi permettere al giocatore di andare avanti con le sue forze nella missione principale ed eventualmente dargli l’obbligo di livellare poco per volta, con qualche evento collaterale: nella maggior parte dei casi, il videogiocatore sceglierà prima le missioni secondarie rispetto a quella principale.

Assassin’s Creed Valhalla

Like a Viking

Assassin’s Creed ha il suo punto di forza nella trama principale. Il trailer di lancio di Assassin’s Creed Valhalla era un tripudio di violenza, battaglie, epicità e soprattutto grafica mozzafiato, in tutto impreziosito dalla possibilità di essere giocato su console next gen.

Il titolo, Valhalla, si ispira alla mitologia scandinava ed è ambientato nel IX secolo quando Eivor, uomo o donna a seconda della nostra scelta iniziale, è costretto ad abbandonare una Norvegia afflitta da guerre senza fine e carestie, insieme al fratello di sangue Sigurd e al suo clan (del Corvo), attraversando il glaciale mare del Nord per raggiungere le ricche terre dei regni infranti dell’Inghilterra.

La sua storia si intreccia con quella di due Assassini (o meglio Occulti, data l’epoca di ambientazione) Basim e Hytham, che chiedono ad Eivor di aiutarli nella loro lotta contro l’Ordine degli Antichi.

Dopo un primo assaggio di quelle che sono le meccaniche di gioco e dopo avere solcato il mare per arrivare nell’insediamento norreno in Inghilterra, Ravensthorpe, iniziano i veri problemi di un capitolo che, sulla carta e dalle recensioni on line, dovrebbe essere il migliore della serie.

Siamo giunti a circa 10 ore di gioco e dopo avere svolto le prime missioni principali e le prime razzie (la vera novità del gioco), non si riesce a fare altro. Il nostro personaggio ha un livello che si aggira intorno ai 30 punti esperienza, tutte le missioni sono di livello 90 o superiore, le successive razzie partono dal livello 130. I primi membri dell’Ordine che si incontrano, gli Zeloti, hanno un livello minimo di 90.

Si è praticamente bloccati in un limbo che ci costringe a non fare altro che iniziare a vagare senza meta alla ricerca di punti-talento preziosi per iniziare a crescere e proseguire nella storia. Si potrebbe andare avanti con le missioni secondarie, direte voi: e invece no, perché Valhalla non ha quest secondarie ma solo piccoli eventi misteriosi, come aiutare un gruppo di bambini con le pecore smarrite, contare delle pietre che cambiano in continuazione, uccidere un gruppo di conigli che rovina il raccolto o permettere ad un abitante di rientrare nella sua abitazione bloccata dall’interno. Praticamente missioni inutili e ripetitive, che non lasciano nulla al giocatore e buone solo per avere qualche prezioso punto esperienza, ma che macinano ore di gioco.

Assassin’s Creed Valhalla

Così per 40 e più ore, ho iniziato a vagare per l’Inghilterra nel tentativo di aumentare il mio livello personaggio, ho sincronizzato quasi tutti i punti di osservazione (godendomi panorami mozzafiato, grazie alla grafica potenziata di Xbox Serie X) e ho cercato forzieri per sbloccare tesori, risorse, armature e armi e così ho scoperto un altro aspetto frustrante di questo gioco, ossia di ritrovarsi in situazioni quasi paradossali: dopo aver girato in lungo e in largo per trovare il punto di accesso dove si trova il forziere, scalando enormi monumenti o infiltrandomi in profonde gallerie, mi trovo davanti o una porta sbarrata dall’interno che si sblocca cercando ancora un’altra via, o un muro di pietra che si abbatte solo con vasi di olio esplosivo, i quali ovviamente sei costretto a cercare, non sempre, nei dintorni, o chiavi per aprire porte sigillate, da recuperare chissà dove nei paraggi.

Ho cercato di portarmi avanti nel recupero di manufatti e pagine di codice, ma trovarli facilmente non è così semplice: o paghi con moneta reale le mappe con i punti di interesse, o li sblocchi tramite valuta virtuale, trovando qua e là nel gioco viandanti che per 30 monete d’argento ti rileveranno il punto dove si trova quello che stai cercando, ma poco per volta. L’alternativa è peregrinare senza sosta a dorso del destriero di turno, perché Synin, il corvo che accompagna Eivor, non localizza niente, a differenza di Senu e Icaro, le aquile dei precedenti capitoli, che marcavano nemici e trovavano vie di ingresso alternative e posizioni di oggetti.

Superato questo scoglio di 40 ore di gioco senza fare nulla di avvincente e che mi hanno fatto smettere di giocare ad Assassin’s Creed per un mese (mai successo dal 2007 ad oggi), il gioco inizia a prendere un’altra piega e si apre un mondo di opportunità e soprattutto possibilità nel portare avanti la causa degli Occulti (o Assassini se preferite) e nel comprendere cosa riservi la storia di Eivor.

Ho finito la trama principale in 110h, conquistando anche qualche oggetto raro come il set completo dell’armatura di Thor, martello incluso, ma tralasciando molti aspetti secondari del gioco, ma è proprio la trama principale ad avermi lasciato perplesso. Per la prima volta mi sono trovato a cercare sul web cosa avesse voluto trasmettermi questo capitolo, scoprendo che il mio senso di perplessità è comune.

Desmond e Layla

Desmond Miles e Layla Hassan

Vi ho parlato di quanto passato e presente fossero importanti nelle vicende di titoli precedenti. Nei capitoli dal IV a Syndicate, eravamo noi i protagonisti del presente, con vicende (soprattutto quelle di Syndicate) ricche di colpi di scena. Ebbene, ho trovato l’inserimento di Layla nelle vicende contemporanee della nuova trilogia, superfluo e alquanto inutile. Non mi veniva affatto voglia di tornare nel presente, e credo che se ne sia accorta anche Ubisoft, visto che in Valhalla gli interventi di Layla sono ridotti ai minimi termini, per non parlare del finale (ATTENZIONE: SPOILER!), dove la nostra eroina, si esilia in un “limbo” Isu per trovare un modo per evitare quello che Desmond aveva inizialmente e apparentemente fermato col suo sacrificio.

Layla lascia quindi il “posto” ad un ultra-millenario Basim (non aggiungo altro per evitare ulteriori spoiler), lasciando, a noi amanti della saga, un senso di vuoto e dubbio sul proseguimento dei capitoli futuri.

Conclusioni

Assassin’s Creed Valhalla è colossale, è graficamente uno spettacolo con paesaggi riprodotti divinamente, violenza inaudita e ben proposta, longeve possibilità di proseguire in ore e ore di gioco, con pochissimi bug (evento rarissimo) e una narrazione tutto sommato degna di nota, ma che man mano che le ore aumentano, diventa sempre meno avvincente. Mi sono trovato spesso ad accelerare dialoghi inutili tra i personaggi, perché mi annoiavano e non mi davano nessuna informazione aggiuntiva per capire come poteva proseguire la trama principale.

Lo consiglio? Si, è pur sempre Assassin’s Creed, nel bene e nel male. Forse è rivolto più a chi non è un appassionato della saga e soprattutto adora vagare senza metà per ben 4 mappe separate (Norvegia, Inghilterra, Asgard e Vinlandia), ma se vi piacciono le storie avvincenti e ricche di pathos, beh, magari prima recuperate anche solo i due capitoli precedenti della nuova trilogia. Forse Assassin’s Creed Valhalla non è come ci si aspetti che sia Assassin’s Creed: se non fosse per la presenza della lama celata e dei riferimenti a Assassini/Occulti, Templari/Ordine degli antichi  e ai riferimenti ai precedenti capitoli nelle ambientazioni odierne, Ubisoft avrebbe potuto chiamarlo semplicemente Valhalla, dando l’opportunità a vecchi e nuovi videogiocatori di immedesimarsi meglio in un titolo comunque apprezzabile, ma troppo distante dai classici canoni videoludici a cui siamo abituati, se accostati alla saga iniziata nel 2007.

AC Valhalla – immagini di gioco catturate su Xbox Serie X – Eivor brandisce Mjöllnir

Il personaggio di Eivor è ben congeniato e ci si affeziona forse quasi quanto ad Ezio, per le sue mille sfaccettature e per la possibilità di approfondire notevolmente un carattere profondo, carismatico e speciale, ma ciò non basta per annoverare questo titolo tra i migliori della saga, almeno per me.

Vi saluto così, con due citazioni importanti, sperando che per il futuro, anche Ubisoft non si dimentichi di tutto quello che ha creato:

  • “Quando gli altri seguono ciecamente la verità , ricorda NULLA E’ REALE – Quando gli altri si piegano alla morale o alla legge, ricorda TUTTO E’ LECITO – Agiamo nell’ombra per servire la luce SIAMO ASSASSINI”
  • “Nulla è reale, tutto è lecito. […] Dire che nulla è reale significa comprendere che le fondamenta della società sono fragili, e che dobbiamo essere i pastori della nostra stessa civiltà. Dire che tutto è lecito, invece, significa capire che siamo noi gli architetti delle nostre azioni, e che dobbiamo convivere con le loro conseguenze, sia gloriose, sia tragiche.” Ezio Auditore da Firenze commenta il Credo
8.3 / 10 Voto Finale
TRAMA6
GAMEPLAY8
AUDIO9
GRAFICA9.5
LONGEVITÀ10
DIFFICOLTÀ7
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Marco Cereseto
Sono stato “folgorato” dai prodotti Apple nel 2010 con iPhone 3GS, anche se il primo vero prodotto fu iPod nano. Poi da lì ho iniziato ad appassionarmi sempre di più ai prodotti e alla filosofia di Cupertino, fino a diventare esperto di ogni trucco e segreto.